lunedì 28 febbraio 2011

La polizia ferma il bambino arabo Bufera in Israele

 

Un bambino palestinese trascinato a viva forza su un cellulare della polizia, una madre disperata che cerca di invano di raggiungerlo, il fare tracotante e intimidatorio delle guardie. Sono gli ingredienti di un video amatoriale che in questi giorni sta suscitando reazioni indignate sul web, all’insegna di immagini imbarazzanti per le forze di sicurezza israeliane.

Il filmato, che non è il primo del genere, è stato girato da un testimone oculare a gennaio nel villaggio di Nabi Salih, in Cisgiordania (Territori palestinesi occupati), stando a quanto riferisce l’agenzia Maan. Ed è stato già rilanciato da organizzazioni per i diritti umani nell’ambito dell’ennesima denuncia sui metodi usati in particolare dalle Guardie di Frontiera: uno dei corpi israeliani più criticati per i suoi comportamenti ordinari verso i palestinesi.

Il bambino viene identificato con il nome di Karim Tamini, nato nel 1999. Lo si vede trascinato via da alcuni uomini in uniforme, mentre invoca aiuto girandosi in direzione della madre e di altre persone presenti. Queste si rivolgono inutilmente ai carcerieri gridando che si tratta solo di «un ragazzo». Karim è alla fine scaraventato di peso su un furgone della polizia, dinanzi al quale la madre - precipitatasi in soccorso - viene respinta in malo modo fra spinte e sorrisini di disprezzo.

Secondo a quanto riportano alcuni pacifisti, dietro l’episodio ci sarebbe stato il tentativo di premere sulla famiglia di Karim per indurla a far consegnare suo fratello Islam, di 14 anni, sospettato d’aver lanciato pietre durante uno dei raduni settimanali di protesta contro la barriera eretta da Israele attorno a buona parte della Cisgiordania. Islam risulta in effetti essere stato fermato pochi giorni più tardi ed è tuttora detenuto in attesa di giudizio: sullo sfondo di un caso le cui procedure - affidate a un tribunale militare - sono pure al centro di contestazioni legali da parte di attivisti dei diritti umani rappresentati dall’avvocato israeliano Gaby Laski.

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